Saman, il matrimonio forzato e una tragedia annunciata

Saman, il matrimonio forzato e una tragedia annunciata

La vicenda di Saman, adolescente che voleva rincorrere i suoi sogni senza confini – a quanto sembra già delimitati da un contorno familiare angosciante – pone ancora una volta l’attenzione su due aspetti:

  1. la fragilità degli adolescenti e il loro diritto di essere aiutati nella crescita e nella ricerca di un posto nel mondo;
  2. la traduzione del pensiero unico messa in crisi da un fatto tragico, figlio di un pensiero grottesco che vive a due passi dalle porte progressiste della sinistra.

La scomparsa e, probabilmente, la morte di Saman, è la completa violazione dei diritti umani:

  1. il diritto di autodeterminarsi.
  2. il diritto a vivere in piena libertà.
  3. il diritto ad essere educata (e non uccisa) dai propri genitori o dalla famiglia in senso lato.
  4. il diritto a sposarsi “soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi ( articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani).

La vicenda accende i riflettori su un mondo di lupi nel quale la comunicazione mainstream, ancora capace di preparare il terreno per il dibatto pubblico e social, si ritaglia un ruolo da protagonista con un atteggiamento arrendevole già registrato in altri casi.

Troppo spesso infatti, quando si rischia il conflitto dialettico fra il pensiero unico e realtà quotidiana dei cittadini, il dibattito si scioglie, l’articolo finisce a fondo pagina, l’approfondimento latita.

Atteggiamento controproducente per un Paese che si pretende laico ma si scopre sempre più estremista nella dittatura del pensiero unico.

Piaccia o meno, nel non luogo del dibattito pubblico c’è sempre meno spazio per il cattolicesimo o per la più semplice etica laica dubbiosa rispetto alla presunta, sbandierata libertà che, in questo caso, rispetto al fenomeno dell’immigrazione sogna sempre un’integrazione immediata, naturale, semplice.

Un pensiero da favoletta al quale segue il brusco risveglio dei suoi sostenitori proprio con il caso di Saman, costringendo al silenzio un fatto di cronaca carico di significati.

Condannare la vicenda e la tragedia di questa giovane ragazza non significa esonerare una religione dal suo diritto di esistere ma rappresenta la neccessità di giudicare con fermezza un comportamento violento ed oppressivo dell’altrui sfera di libertà, fra le pieghe complesse di testi sacri e tradizioni millenarie, assorbite in maniera scomposta dalla nostra società.

Assolvere l’uccisione di Saman, o cercare di derubricare a singolo episodio una vicenda carica di violenza, traduce in un linguaggio politicamente corretto rapporti tra comunità religiose che, invece, andrebbero approfonditi e migliorati per raggiungere il vero ecumenismo, fondato sul rispetto reciproco delle libertà e dei diritti umani.

Avv. Maria Pia Capozza

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