Il giornalismo italiano sul banco degli imputati
di Maria Capozza, Avvocato e Web reporter
Il caso
In diversi articoli sul processo Cerciello-Rega, la giornalista Valentina Stella del quotidiano Il Dubbio si sofferma su aspetti che costituirebbero una violazione delle regole dell’esame e del controesame. A detta della stessa testata, dando voce agli Avvocati che denunciano “censure” da parte di alcuni giudici e la conseguente violazione del diritto di difesa.
In una nota del 17 dicembre, la Giunta esecutiva della sezione di Roma dell’ANM “stigmatizza le modalità di comunicazione circa gli esiti dei processi e auspica un cambio di prospettiva, che riservi le argomentazioni anche critiche nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali alle sedi preposte per la relativa deliberazione”.
Inoltre Damiano Aliprandi, uno dei più preparati tra i nostri giornalisti antimafia, è alla sbarra per un’inchiesta che apre un nuovo filone.
Quanto scoperto da Aliprandi potrebbe far luce sulle reali ragioni per le quali Falcone e Borsellino vennero uccisi. Pone dei dubbi sul teorema Trattativa Stato-Mafia, confermando quanto stabilito dalla sentenza con la quale sono stati assolti Mori, De Donno e Subranni.
Sembra che, in alcuni casi, la tesi precostituita sia più importante del contraddittorio, della ricerca della verità. Riducendo il processo a una mera conferma del Teorema scelto.
«Il fine del processo è la verità, pericolosa ogni interferenza»: è questo il titolo dell’intervista di Valentina Stella all’Avv. Domenico Carponi Schittar, dove si legge:
Quanto può pesare sull’accertamento della verità l’invadenza del giudice?
A molti giudici sembra sfuggire che il controesame sia sempre un bene. Utile se ha successo l’obiettivo di chi interroga, cioè di portare a galla una verità prima taciuta o mascherata. Utile anche se l’obiettivo fallisce, avvalorando la verità già uscita dall’esame diretto.
Se lo scopo del processo è quello di giungere alla verità dei fatti, qualsiasi interferenza del giudice è sempre un danno. Perché vanifica l’uno e l’altro potenziale risultato.
La Camera penale di Roma scende in campo
E lo fa con una dichiarazione eccezionale, parlando di “indebita intromissione durante lo svolgimento dei controesami delle difese” e delle ricadute sui diritti dei cittadini. Ecco alcune parti del testo:
- «Il processo è giusto quando si celebra davanti a un giudice terzo e imparziale e sono rispettate le regole del contraddittorio. Il giudice non può e non deve “difendere” il teste dell’accusa».
- «Non sono consentiti privilegi di alcun tipo, né esenzioni, tanto meno in favore dell’ordine giudiziario rispetto al quale la Stampa rappresenta strumento di verifica delle modalità di esercizio del potere giurisdizionale delegato dalla collettività».
- «Di fronte a prese di posizione corporative in odore di bavaglio o, peggio, di minaccia a chi esprime idee non allineate al pensiero (purtroppo) comune, esprimiamo il nostro fermo dissenso».
- «Stigmatizziamo tutti i comportamenti che mettono a rischio il rispetto delle regole del giusto processo sancite dall’articolo 111 della Costituzione, come pure ogni comportamento che attenti alla libertà di porre sul tavolo di discussione temi che, pur scomodi, riguardano eventi che a tutti noi è capitato di vivere nelle aule dei tribunali».
- «Non può essere consentita una concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini, laddove quello tra amministrazione e società “non è un rapporto di imperio ma un rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest’ultima».
- «La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di informazione […] costituiscono il fondamento di uno Stato di diritto».
- «Plaudiamo a una Stampa che non ha timori reverenziali nei confronti di nessuno».
Quando parliamo di diritti e democrazia, ricordiamoci bene queste parole. Per le quali intere generazioni hanno combattuto, al prezzo della vita. Perché in gioco sono le basi del nostro sistema giudiziario, ma anche la libertà di Stampa, informazione ed espressione.
Cosa dice la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo?
L’articolo 6 afferma il principio dell’equo processo basato su ragionevole durata, presunzione di innocenza, garanzia del contraddittorio tra le parti e di un giudice equidistante, terzo e imparziale.
Cosa succede in Italia?
- Il Democracy Index 2020 definisce l’Italia una “flawed democracy” – cioè democrazia imperfetta, viziata, difettosa. E il Sole24Ore rileva che “a calare di più nel 2020 è il punteggio globale medio delle libertà civili, che ha toccato il livello peggiore da quando l’indice è stato elaborato per la prima volta nel 2006”. Soltanto l’8,4% della popolazione mondiale vive in democrazie complete, e il Bel Paese non ne fa parte.
- Nell’Index 2020 della libertà di Stampa, l’Italia è in 42esima posizione – dopo Burkina Faso e Botswana. L’affermazione più critica nella presentazione dei dati? “L’index non è indicatore della qualità del giornalismo in ogni Paese o regione”. Certo, perché non abbiamo anche un indice sullalibertà dalle realtà mistificate. In compenso, abbiamo la Giornata mondiale per il Diritto alla Verità.
- Secondo i dati del Ministero della Giustizia, Italia conta ben 499 condanne dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo in 19 anni, dal 2002 a oggi. E quasi la metà riguarda l’equo processo, con 236 sentenze. 124 sono sulla protezione della proprietà, altre 121 sul rispetto della vita privata e familiare. E questo la dice lunga su cosa stia succedendo nel nostro Paese.
- Il 4 novembre, Affari Italiani scrive dell’ennesima condanna in violazione del giusto processo. Secondo la Corte europea, i criteri del codice per i ricorsi in Cassazione sono eccessivamente formali a scapito della sostanza. Tali da violare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
«Chi in galera, chi al potere»
Come ai giorni di Tangentopoli, sui quali Ferrucio De Bortoli ammise: “Nel 1992, tutti eravamo sicuri che sarebbe stata una parentesi eccezionale, sgradevole ma indispensabile al rinnovamento. Chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e sugli eccessi – non per amore di giustizialismo, né per assecondare le ambizioni della Magistratura, ma nella speranza, quasi una certezza, che la mannaia avrebbe colpito indiscriminatamente uomini e partiti responsabili della corruzione. Poi ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, e che si era creata una situazione di disparità francamente imbarazzante”.
L’Italia, da culla del Diritto, ne è diventata la tomba?
Sembra si sia realizzato l’incubo che paventava Giovanni Falcone.
Avvocati che denunciano “censure”. Processi capovolti, nei quali le vittime diventano indagati. Corruzione e “intoccabili”, che finiscono col non rispondere mai dei loro pur documentati crimini. Avvocati della difesa nell’impossibilità di fare bene il loro lavoro. Silenzio di parte della Stampa, che scivola così nella complicità passiva o attiva. Una Costituzione ignorata e maltrattata, assieme a leggi insufficienti o disapplicate. Cosa più grave, “interferenze” – per non dire connivenze – nei processi.
Purtroppo, parlo per esperienza – da avvocato e web reporter ma anche whistleblower. Accusata degli stessi fatti che ho denunciato. Sotto minacce, ricatti e mobbing. Diffamata, anche a mezzo Stampa. “Impresentabile” secondo il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, in base a un giudizio morale invece che legale.
Ecco: pensiamoci quando parliamo di democrazia o di diritti. Che si tratti dei giornalisti come Stella e Aliprandi o dei segnalatori di corruzione. Perché la benda sugli occhi della Giustizia rappresenta imparzialità e quindi equità, non sicuramente cecità.
Avv. Maria Capozza